Negli ultimi anni ci siamo interrogati molte volte sul ruolo, sulle attività, sulle politiche per i soci, in una parola, sulla rotta che la navicella dei Lions deve tenere, considerando che il mare in cui naviga è mosso, molto mosso, persino agitato. Non vi è dubbio che l’Associazione sta subendo una profonda “mutazione genetica”, abbandonando via via i vecchi rituali, la beneficenza fine a sé stessa, le clausure dei convegni, degnissimi per l’elevato livello dei contenuti, ma sempre più autoreferenziali. La presenza di una tale mutazione è di per sé un fatto positivo, perché solo le specie che sanno mutare, adattandosi al meglio alle mutazioni del contesto in cui vivono, sono quelle destinate a sopravvivere, mentre le altre si avviano verso il declino e l’estinzione. Il problema, però, si presenta quando ci si accorge che non sono ancor chiari e definiti le nuove linee guida, i nuovi modi di essere che, senza mai venire meno rispetto all’Etica, siano in grado di assicurare la sopravvivenza e la proliferazione.

Quando si parla di innovazione , di mutamento, spesso si sottintende l’inderogabile esigenza di una cesura con il passato, di una ricerca di valori nuovi e coerenti con in tempi: a mio avviso, invece, è proprio nel passato, nelle origini, nei documenti fondativi che bisogna cercare quei valori da cui, nel tempo, ci si è via via allontanati. A chi gli chiedeva se per caso egli volesse rovesciare il mondo, Giordano Bruno ribatteva che il filosofo è proprio colui che cerca di raddrizzare il mondo che si è messo sottosopra. Eco che, se andiamo a guardare nei nostri scopi, nel nostro codice etico, nei nostri statuti, nelle cose che hanno fatto i padri fondatori del lionismo, lì troviamo le risposte ai nostri interrogativi, ai nostri propositi di cambiamento. Troviamo la cittadinanza attiva, quella vera, quella fatta giorno per giorno nella propria comunità, nella propri famiglia, sul posto di lavoro. Troviamo la sussidarietà orizzontale, fatta dal rapporto continuo con le Istituzioni, essendo legati da un rapporto che è, nel contempo, di collaborazione e di denuncia, di partnerariato e di vigilanza. Troviamo l’impegno fattivo ed unitario per aiutare le fasce più deboli, non con la beneficenza , o non solo con quella, ma mettendo a disposizione le nostre professionalità, la nostra passione, che valgono più di ogni somma di denaro. Ma troviamo anche altre cose importanti: il principio che il culto della personalità, le clientele, la permanenza in posizioni di potere, la gerarchia sono bandite dalla nostra struttura organizzativa: l’annualità delle massime cariche, la definizione dei poteri e dei limiti che queste cariche hanno, sono a testimoniare l’idea di una democrazia partecipativa, più che rappresentativa. L’emorragia di soci che il distretto, il multidistretto e l’Europa stanno subendo ha radici lontane e comuni : l’unica medicina che può arrestarla è quella di far ritrovare ai soci, vecchi e nuovi, la capacità di appassionarsi la voglia di sentirsi protagonisti, l’orgoglio dell’appartenenza.

“Yes, we can” recita lo slogan del presidente Obama: si, noi possiamo, anzi dobbiamo, ricostruire la casa comune della nostra Associazione.